da Sport Business Management
Intervista di Giuseppe Berardi
I proventi derivanti dai diritti tv sono la principale fonte di ricavo delle società di calcio di Serie A. Nella stagione 2014-15 hanno rappresentato il 47% del totale degli introitidei club.
A partire dalla stagione appena trascorsa è entrato in vigore il nuovo contratto di cessione diritti TV domestici che porta nelle casse delle società della massima serie quasi 1 miliardo di euro.
In questi giorni si discute su eventuali modifiche che possono essere adottate ai criteri di ripartizione che, attualmente, vengono regolamentati dalle Legge Melandri, Decreto Legislativo 9 gennaio 2008, n. 9, “Disciplina della titolarità e della commercializzazione dei diritti audiovisivi sportivi e relativa ripartizione delle risorse”.
Di questo e di altri temi Sport Business Management ne ha parlato con l’Onorevole Daniela Sbrollini responsabile Nazionale Sport e Welfare del Partito Democratico.
Onorevole Sbrollini a che punto è il disegno di legge di revisione della legge Melandri sulla ripartizione dei proventi televisivi per le società di calcio?
Presenteremo il testo nelle prossime settimane, siamo ad un punto avanzato. La proposta di legge sarà a doppia firma: ci sarà la mia e quella dell’On. Lorenza Bonaccorsi. Una volta che depositeremo il testo abbiamo l’intenzione , come prima mossa, di audire tutte le parti interessate: il Coni, le Leghe calcio, la Figc, Rai, le tv private, Infront e tutti gli attori “protagonisti” di un mercato così singolare ed importante. Successivamente comincerà l’iter in commissione e sicuramente interverrà anche il Governo.
Quali saranno le principali novità della riforma?
Pensiamo sia necessario aggiornare la legge Melandri, è stata una buona legge che però ha fatto il suo tempo. Questo settore è in continua evoluzione, è cambiato il mercato e sono cambiate radicalmente le tecnologie ed i sistemi di fruizione dei contenuti sportivi. Oggi pc, smarthpone, social network e siti sono piattaforme su cui accedono quotidianamente milioni di utenti, il calcio dovrà saper intercettare anche quel mercato oltre ai tifosi allo stadio e telespettatori. Pensiamo sia giusto favorire una maggior concorrenza, invitando nel nostro mercato anche i grandi attori della comunicazione a livello internazionale, per un calcio più capace di investire nella qualità dei campionati e per dare ossigeno ai settori giovanili. Verrà regolamentato meglio il ruolo dell’advisor, e posso anticipare inoltre che la Fondazione per la mutualità sarà eliminata: è giusto che una volta determinate alcune quote di sostegno per alcune realtà e sostegno ai campionati minori, la lega gestisca autonomamente con le società i ricavi.
Stadi a parte, cosa manca alla Serie A per tornare a competere con le altre top leghe europee?
La serie A non ha nulla da invidiare alle altre leghe europee per quanto riguarda la qualità del calcio giocato, occorre però costruire politiche virtuose, sicuramente il tema degli impianti è una priorità. Vogliamo far tornare il grande pubblico negli stadi, che possano essere impianti vivi 7 giorni su 7 e non solo poche ore alla settimana quando ci sono le partite, l’ammodernamento e una nuova concezione dell’impianto sportivo può portare indirettamente miglior sicurezza così da premiare i veri tifosi, unici danneggiati dalle recenti restrizioni.
Inoltre le squadre che giocano le competizioni europee devono avere la capacità di investire alla pari delle loro competitor, così da trainare tutto il nostro calcio.
Ma è anche necessario investire nei settori giovanili, e poi il mercato del calcio oggi è globale, le società italiane, supportate da Lega e FIGC devono saper investire all’estero, perché il nostro calcio sia conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo: nord America e Asia sono i grandi mercati emergenti, non meritiamo di star dietro all’Inghilterra, alla Spagna o alla Germania.
C’è un conflitto di interessi nell’essere advisor della Lega Serie A e consulente delle società di calcio per le attività di marketing?
Si, è evidente che il ruolo dell’advisor deve essere meglio regolamentato, polemiche ed indagini negli scorsi anni hanno dimostrato la necessità di una normativa più chiara e rigida. Pur riconoscendo l’importanza della consulenza per la vendita dei diritti penso che si debbano porre dei limiti, e cioè quello per chi è consulente di operare solo per una lega, e contemporaneamente impedire allo stesso advisor di commercializzare i diritti di sponsorizzazione per uno dei club iscritti alla lega per cui si opera. Anche in questo senso penso sia giusto favorire una pluralità di attori protagonisti, garantendo maggior trasparenza e concorrenza.
Ad oggi in Italia nessuna federazione sportiva permette alle donne di accedere all’attività professionistica. Qual è il suo pensiero in merito e cosa può fare la politica per cambiare questa situazione?
Sono in prima linea su questo tema, alle donne devono essere riconosciuti gli stessi diritti che hanno gli uomini, non parlo del monte stipendi per cui ci sono ragioni di mercato, ma non è possibile che migliaia di atlete che si impegnano a tempo pieno ogni giorno ed ottengono piccoli o grandi risultati non vengano riconosciute come professioniste. Essere una sportiva vera e propria deve prevedere la tutela assoluta dei diritti: parlo del diritto al riconoscimento della maternità, il versamento dei contributi pensionistici, la possibilità di prevedere un’indennità di malattia e tutti gli altri sacrosanti diritti previsti dal normale mercato del lavoro .
Si deve poi considerare anche la situazione delle atlete nel post carriera, solo in alcuni casi le donne riescono a rimanere nel mondo dello sport come preparatrici, allenatrici o dirigenti. In questa delicata fase troppo spesso le donne sono abbandonate a loro stesse senza alcun ammortizzatore o percorso efficace per l’inserimento lavorativo e per la garanzia di un futuro professionale. Il legislatore, insieme al Coni, alle Federazioni e alle associazioni di categoria deve far qualcosa al più presto.