Il calcio ha aperto una strada: finalmente

L’opinione pubblica si è resa conto che lo sport femminile è una realtà concreta, affascinante, vincente. Lo sappiamo da anni, in tante discipline sportive le donne regalano all’Italia vittorie e trionfi. Per ottenere questi risultati a livelli internazionali ci vuole allenamento quotidiano, spesso per ore ed ore. La rinuncia ad una vita lavorativa normale. Cioè siamo nel professionismo sportivo. Ma nella realtà tutto ciò è come non esistesse. I corpi dell’esercito coprono alcune situazioni di atlete che così possono seguire la loro strada sportiva in alcune discipline individuali. Ma negli sport di squadra siamo in una situazione totalmente inadeguata. E ingiusta. Anche il Presidente Mattarella, pur non entrando nel merito, sottolinea il problema aperto: è irrazionale e inaccettabile la diversa condizione di uomini e donne. Contro l’assenza del professionismo femminile, rivendicato da più parti e da diverso tempo, per dirla come la ct Milena Bertolini, “le donne del calcio femminile hanno atteso che arrivasse il momento con pazienza, tenacia e determinazione”. Ora il tempo è arrivato. Non mi stancherò di chiedere che si arrivi presto al riconoscimento dei diritti delle donne che fanno sport impegnandosi in modo professionale senza avere riconosciuto questo impegno. Si tratta di diritti fondamentali, non a caso citati esplicitamente nell’art. 3 della Costituzione. Mi sembra che anche il Presidente del Coni Malagò e il Presidente della Federcalcio Gravina abbiamo chiaramente aperto a questa ipotesi. Il professionismo fra le donne sportive non è una idea suggestiva. E’ un principio di equità. Un diritto che è acquisito come principio e deve finalmente diventare concreta realtà. Alcuni provvedimenti riguardo alla maternità delle atlete erano stati fatti dal precedente Governo. Ora bisogna che il Governo in carica faccia l’ultimo, decisivo sforzo: il via libera al professionismo sportivo femminile.
La parità di genere si deve estendere dentro e fuori dal campo.

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